Dove si respira alpino

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    Quando avremo tra le mani questa copia de L’Alpino, gli occhi e il cuore saranno immersi nell’aristocratica bellezza della terra trentina. Ed avremo l’impressione di trovarci a casa, grazie all’operosa ed elegante accoglienza della sua gente. È l’indole tenace, senza i fronzoli delle chiacchiere, di gente abituata a competere con la terra, per procurarsi i mezzi di sostentamento e intenta ogni giorno a domare il territorio per renderlo ospitale.

     

    E se è vero che la Provvidenza è stata magnanima nel cesellare questo angolo d’Italia, è altrettanto vero che i suoi abitanti hanno trasformato l’etica che li ispira dai tempi lontani di Vigilio in un’opera estetica, dove ogni angolo unisce il bello di Dio con quello dell’uomo. Gente solida quella trentina, dalla parlata concisa, dall’azione pronta, dall’intenzione determinata.

    Guardando chi vive da queste parti è più facile capire l’indole alpina, quella che Giorgio Rochat descrive nel suo libro, Gli alpini dalla nascita alla Seconda Guerra Mondiale, quando dice che «l’alpino non parte a conquistare nuovi territori, non è l’eroe che aggredisce, ma il soldato che difende la sua terra». Per concludere che l’alpino «è il soldato buono».

    Trovavo queste parole riportate nella prefazione ai due volumi curati dal professor Nicola Labanca, nei quali per la prima volta, dopo cent’anni dalla nascita dell’Ana, una équipe di docenti universitari si è cimentata a raccontare la storia degli alpini. Un racconto dal rigoroso profilo scientifico, che non indulge alla retorica, né al già sentito per cui alcune cose bisogna sempre dirle e dirle allo stesso modo. Una pietra miliare nella vasta produzione che parla degli alpini e che tutti dovremo prenderci la briga di leggere per guardarci una volta tanto con gli occhi di non alpini.

    Mi colpiva tra le altre cose una frase del professor Labanca, buttata lì, quasi en passant, dove si dice che la vicenda dell’Ana «riflette quella del Paese, e in larga parte avviene il contrario». È quest’ultima sottolineatura che trovo assolutamente dirompente. Dire che anche gli alpini risentono di ciò che accade intorno sembra una ovvietà. Dire che il Paese risente dello stile degli alpini diventa una responsabilità. Sarebbe davvero straordinario se si facesse largo in tutti e con sempre più accresciuta limpidezza la coscienza del nostro potere di incidere sul tessuto sociale.

    Certo sappiamo già di farlo, in tante circostanze. Non c’è paese che non conosca l’operosità delle mani alpine e non c’è campanile d’Italia sotto la cui ombra non siano sfilate le penne nere mentre garriva una bandiera. Ma credere che il Paese può risentire favorevolmente della presenza degli alpini è fare nostro quello che Emanuele Ertola, sempre nei due volumi dedicati al nostro centenario, chiama “la loro dimensione estetica, frugale, fraterna, irrispettosa delle regole ma disciplinata fino all’estremo sacrificio al momento del bisogno”.

    Sembrano concetti rubati ai buoni propositi di tempi andati. Eppure sono i tratti indispensabili per una società che voglia ritrovare il gusto di camminare insieme, con spirito di solidarietà. Frugali quanto basta per avere leggerezza di movimento. Irrispettosi delle regole ma disciplinati al bisogno, per essere creativi, senza essere anarchici. Fraterni, per sentire la bellezza di stare insieme, dentro un sentire sociale, dove abbiamo imparato a stare da soli pur vivendoci fianco a fianco.

    Bruno Fasani