Don Gnocchi finalmente Beato!

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    Finalmente Beato. È quanto gli alpini hanno sempre saputo. Prima che sugli altari, don Carlo Gnocchi il cappellano degli alpini in Russia, fondatore di un’Opera che è andata via via crescendo dopo la sua morte è considerato Santo da tanto tempo. Ora sarà Beato per la Chiesa. La cerimonia della beatificazione a differenza della santificazione, prevista in San Pietro e dichiarata dal Papa avverrà il 25 ottobre prossimo a Milano, nella diocesi di nascita dell’ancora, ma ormai per poco, solo venerabile don Carlo.

    Diretta della cerimonia su RAI UNO ore 9.30 ed in streaming web su www.rai.it

    Da domenica, quando sarà dichiarato beato, don Gnocchi potrà essere invocato nelle celebrazioni liturgiche ed indicato come un modello da imitare. Per la canonizzazione occorrerà un nuovo miracolo, ma in questo senso la fede degli alpini, e di tanti altri, è grande e non sarà disattesa. La Fondazione don Gnocchi, presieduta da mons. Angelo Bazzari, sta predisponendo la celebrazione e le varie manifestazioni di contorno che richiameranno a Milano, e in particolare domenica 25, migliaia di persone.

    Per contenere il gran numero di fedeli, alpini in particolare, la Curia ha disposto che la S. Messa sarà officiata all’aperto, in piazza Duomo. L’altare sarà posto sul sagrato alto, davanti al portale della basilica, accanto all’urna con le spoglie del beato. Celebrerà l’arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi alla presenza del legato pontificio mons. Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi. Questa la scansione degli avvenimenti.

    Sabato 24 l’urna con le spoglie di Don Gnocchi verrà traslata dal Centro Maria Nascente della Fondazione di via Capecelatro, alla Chiesa di San Pietro in Sala (Piazza Wagner), dove nel primo pomeriggio si terrà un momento di preghiera. L’urna sarà poi trasferita alle ore 17 nella Chiesa di San Bernardino alle Ossa, via San Bernardino 1, e sarà esposta alla pietà dei fedeli fino alle ore 24. Dalle ore 21, nella Basilica di Santo Stefano, nell’omonima piazza, veglia con recita di brani e canti da parte del coro ANA di Milano.

    Domenica mattina, alle 8,30, in corteo l’urna del beato sarà traslata in piazza Duomo, portata a spalla dagli alpini, e posta sul sagrato alto della basilica. In questa circostanza il coro ANA della Sezione di Milano canterà canti alpini in onore di don Gnocchi. Alle ore 10 il cardinale celebrerà la S. Messa, che sarà accompagnata dalla corale della Cappella del Duomo e del Seminario diocesano nonché da un canto del coro ANA. RaiUno trasmetterà il rito in una diretta che si concluderà alle 12,10.

    A mezzogiorno piazza Duomo e piazza San Pietro saranno collegate per un intervento del papa nel corso dell’Angelus. Al termine del rito e dopo la benedizione del pontefice l’urna di cristallo (ormai senza più la copertura di velluto che impediva la vista del beato) sarà trasferita nella chiesa di San Sigismondo, adiacente alla basilica di Sant’Ambrogio. Com’è immaginabile, ci sarà un grande afflusso di persone, in special modo alpini.

    È bene sapere, dunque, che l’ingresso in piazza Duomo sarà in parte contingentato (accessibile solo a coloro che avranno l’invito o il pass) e in parte libero. Per tutti, i varchi saranno aperti alle ore 8 e tassativamente chiusi alle 9,30. Giornalisti e fotografi dovranno essere accreditati presso la Curia arcivescovile.


    Un brano dal libro Cristo con gli alpini scritto da don Gnocchi

    Giorgio

    Quando venne alla Casa degli Orfani, fragile e incerto, pareva un uccellino sperduto nella bufera. Lo portava un’infermiera dell’ospedale e, consegnandocelo, disse: Ha sei anni. Il papà deve essere stato fucilato dai tedeschi; a ogni modo era militare e, dopo l’8 settembre, non se ne seppe più nulla. La mamma, poveretta, è morta al sanatorio, e anche questo piccino (senta che cuore) deve averne patite delle privazioni . Aveva infatti un cuoricino singhiozzante che lo si vedeva sussultare anche di sotto la camicina stinta. Il dottore, quando lo vide, disse subito: Tenetelo ben guardato. Se gli sopravviene una malattia non regge . E così fu difatti.

    Povero Giorgino. Aveva una gran fame di tenerezza. L’implorava tacitamente con gli occhi, i suoi piccoli occhi di acqua dolce, illuminati da un chiarore fermo e vesperale. La mendicava da tutti. E se tu fossi venuto all’Istituto, te lo saresti trovato inavvertitamente daccanto a prenderti leggermente la mano per carezzarsene la guancia morbida e pallida. Teneramente. Ma venne l’urto tanto temuto e, dopo penosa resistenza, morì che era tutto un male. Fu soltanto sul letto di morte, piccola bambola di cera, che io lo riconobbi. Perché tocca alla morte rivelare profonde e arcane somiglianze.

    Aveva la terrea nudità degli uccellini caduti dal tetto per fame o per la bufera. Quante volte l’avevo già incontrato nella mia vita di guerra. Nella ferale teoria dei fanciulli in attesa degli avanzi del rancio o randagi a cercarlo fra le immondizie; nei bambini febbricitanti e morenti sui miserabili giacigli delle isbe russe o dei tuguri albanesi; nei cadaveri stecchiti dei bimbi morti di fame o di pestilenza, sulle strade della Russia, della Croazia o della Grecia. In tutti i bambini insomma travolti dalla guerra. Esercito di piccole vittime innocenti, di cui Giorgio era la retroguardia.

    Tanto più lacrimevole, in quanto la guerra era finita e per molti ormai lontana. La malattia l’aveva ridotto a un fragile scheletrino. Non doveva pesare più di una foglia. Eppure riempiva di sé tutta la casa. È vero che i morti sono tutti di piombo e tengono sempre un gran posto, così che, quando escono dalla stanza per la sepoltura, vi lasciano una gran piazza immensamente vuota e silenziosa. Ma Giorgio pesava quasi come il corpo di un misterioso reato. Non era stato abbattuto dalla cieca bufera, povero uccellino tremante, ma dal piombo degli uomini in lotta …

    E se non m’inganno, anche quelli che seguivano commossi il suo funerale pareva sentissero il peso di questa oscura e comune colpevolezza. Pareva dicessero: Ecco un’altra vittima, e la più innocente, dei nostri peccati. Che ne sapeva lui, povero piccino dolce e sognante, delle nostre ambizioni di grandi, dei nostri stupidi sogni di potenza, degli interessi e delle cose politiche che ci mettono gli uni contro gli altri così accanitamente?Eppure per tutto questo egli ha sofferto ed è morto… Perché continuiamo ancora a dilaniarci, a contenderci avidamente i pochi metri di questa lurida terra?Pazienza pagassimo soltanto noi, ma invece sono questi piccini, questi innocenti che pagano per le colpe di tutti…

    Pubblicato sul numero di ottobre 2009 de L’Alpino.