Cuor di generale

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    Al telefono, il giorno precedente, si premura di chiedermi a che ora arriverò per incontrarlo. Vuole accertarsi che non sia troppo presto, perché quando si incontrano le persone, bisogna essere presentabili e, a una certa età, i ritmi richiedono tempi più lunghi. Solo quelli del fisico però. Perché l’intelligenza corre veloce anche sui binari dei cent’anni. Tanti ne compirà Enzio Campanella il prossimo 20 dicembre. 

     

    Parlare di questo generale degli alpini è come aprire una finestra davanti al mare quando la vastità ti impedisce di fare sintesi. Mi accoglie nella sua casa romana, seduto dietro la scrivania, con lo stile di un professionista nell’esercizio della sua attività. Lo saluto col titolo di generale. Mi precisa che ciò che lo interessa in questo momento è la sua attività di avvocato, da quarant’anni cassazionista del Foro di Roma.

    Forse legge nel mio sguardo qualche perplessità davanti a tanta affermazione. Perplessità che sistema subito mostrandomi copia della sentenza della Cassazione del 30.12.2014, per l’ultima causa vinta. È la nr. 27518 della Terza Sezione Civile. Lo scriva, mi ordina perentorio, perché in essa si stabilisce che il Comune di Boiano non deve canoni alla Cassa del Mezzogiorno per l’utilizzo delle acque.

    Sono quelli di giù, dalle parti di Napoli, che hanno preso le nostre acque e noi adesso dovremmo pagare? Noi. Usa il pronome plurale, perché alla sua terra lo lega un rapporto simbiotico, mai venuto meno nonostante una vita passata altrove. Si capisce che da uomo di governo con le truppe alpine, ha imparato a conoscere il cuore degli uomini. Dice che la serenità che lo accompagna è legata alle tante persone pulite che ha incontrato nella truppa e con le quali ha intrecciato rapporti di stima reciproca.

    A cominciare dai soldati semplici, caporali, caporali maggiori, con i quali ha vissuto tante esperienze umane e militari. Si schernisce quando parlo di lui come comandante. Puntualizza che nel battaglione la forza non è del singolo, neppure di chi lo comanda. È il gruppo la forza, in guerra come in tempi di pace. Abituato a indagare il cuore umano, mi studia dall’inizio a 360°. Lo fa con due occhi intelligenti, senza distrazioni, concentrati a custodire una cultura che ha il perimetro dell’infinito. Comincia con Ovidio e l’Ars amandi. Poi mi coniuga i verbi in greco e manda a raffica citazioni latine… Pian piano mi perdo. Capisco però che il suo non è sfoggio di cultura.

    È solo l’orgoglio di ricordare come si studiava ai suoi tempi, dalle sue parti, in quel Molise che qualcuno, nell’immaginario collettivo, forse pensa ancora come terra di transumanza e povertà, economica e culturale. E invece la cultura, insieme al carisma, lo avrebbe portato lontano, tanto lontano. Quale comandante è stato sul fronte occidentale, col “Val Cordevole” del 7° Alpini. Alla frontiera grecoalbanese, con il “Belluno”. Nel Montenegro col btg. “Feltre”. Ancora, nel Mediterraneo col “Belluno”, quindi sul Monte Marrone e sul Fronte di Jesi col btg. “Piemonte” del Corpo italiano di Liberazione. Quindi a Barbara e Pergola, fino a Condigliano, con il “Monte Granero” e sul fronte di Bologna col btg. “L’Aquila”, del gruppo combattimento “Legnano”.

    Cartografo e topografo, è stato Commissario addetto alla delimitazione dei confini italo-jugoslavi dal 1947 al ’51 e italo-francese dal 1961 al 1965. Conosce quelle terre come e forse meglio della popolazione indigena. Mi ricorda con dovizia di particolari i due anni a Pontebba e i cinque a Tarvisio, ma anche i dettagli sul Monte Bianco e sui confini che lo attraversano, argomento sul quale ha steso una dettagliatissima pubblicazione. Sul suo petto fanno bella mostra 2 Medaglie di Bronzo al V.M. e una Croce di Guerra al V.M., quattro Croci al Merito di Guerra, una Medaglia di Benemerenza, quale volontario di guerra per attraversamento delle linee e una Croce d’Oro per anzianità di servizio.

    Gli chiedo quali siano stati i limiti dei grandi generali della prima Guerra Mondiale. Non entra nel merito. Si limita a dire che per governare bisogna voler bene a chi è sottoposto e sapere dare ordini, nello stesso tempo. Enzio Campanella, proprio Enzio con la “n”, e si stupisce che non sappia che il suo nome, viene da Enrico il figlio di Federico II re di Sardegna, è tra i fondatori della Sezione Molise, iscritto da sempre nel Gruppo alpini di Boiano. Si parla di un amico comune, appartenente a quel Gruppo: Salvatore Robustini.

    Enzio si illumina. Come se il faro dell’amicizia fosse più abbagliante di ogni altra luce. «Per questo amico sarei disposto a tutto – mi dice – anche a vendere la casa in cui abito, se fosse necessario». Mi chiede di fermarmi a pranzo. Dice che la sua mamma, forte del fatto d’essere terziaria francescana, gli ha insegnato a non licenziare nessuno senza aver prima condiviso la mensa. Ascolto ammirato l’uomo e il cristiano. Gli porto gli auguri dell’Ana e un corale abbraccio di tutti gli alpini. Capisco alla fine d’essere stato promosso. E me lo fa capire mostrandomi l’ampiezza del suo cuore. Quel cuore grande da cui sono fiorite tutte le altre grandezze.

    Bruno Fasani