Con gli alpini del 7° sull'Ortigara quasi un ritorno a vent'anni fa

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    Si chiamava Felloni, era emiliano e spesso mi seguiva, nelle marce, come radiofonista. Capivo subito quando il mio passo diventava troppo veloce perché Felloni, attaccato come una cozza allo scoglio, cominciava ad ansimare, a fare il fiato grosso Ad occhi chiusi sento ancora respiri pesanti che mi seguono, passi di scarponi sulle nude rocce.

    Apro gli occhi Sono passati vent’anni ma sono ancora alla testa di una compagnia di alpini ed i moccoli sono quelli di allora quando allungo un po’ il passo, solo che ora non porto più le stellette sul bavero e, in questo caso fungo da guida indiana per un’attività speciale della 64ª cp. La Crodaiola del 7º Alpini della Julia. Durante l’inverno, parlando con gli amici Paolo Pozzato e Paolo Volpato, e con Vittorio Corà si era tornati sulla vecchia questione dell’aggiramento per il canalone degli alpini della compagnia del Bassano durante la battaglia dell’Ortigara.

    Le notizie su quest’operazione provenivano solo da fonte indiretta, perché riportate nei diari storici austriaci, anche perché sembra che quella parte del diario storico del Bassano sia andata perduta. Nacque così l’idea di vedere se quest’operazione potesse essere compiuta ai tempi nostri. Per questo, presi gli opportuni contatti con il comando delle Truppe alpine, inoltrammo richiesta per vedere se un reparto alpino potesse partecipare all’operazione.

    Le speranze non erano molte, tenuto conto della gran parsimonia con cui sono concessi i reparti, così fu grande la nostra felicità quando fummo contattati direttamente dal comandante della Julia per pianificare l’attività. Assegnataci una compagnia del 7º Alpini, prendemmo gli opportuni contatti con l’aiutante maggiore del reggimento, ten. col Fregona. Seguirono telefonate, mail, ricognizioni, e quanto necessario per assicurare la perfetta riuscita dell’escursione.

    Arriva l’11 luglio, la vigilia del pellegrinaggio all’Ortigara, la giornata tanto attesa. E che la giornata fosse speciale l’intuisco subito quando, lungo la strada che porta in Ortigara incrocio il comandante della Julia, gen. Rossi, che aveva deciso di assistere a quest’attività. L’appuntamento è per le 9 e 30 presso il parcheggio di passo stretto ( i bei tempi, con sveglia alle 4, adunata alle 4.45 e partenza alle 5.00 ).

    Lascio Vittorio Corà e Paolo Pozzato ad attendere la naja. Salgo con il mezzo alla Baita per portare gli ultimi rifornimenti e, soprattutto per guadagnare un po’ di quota, visto che temo il passo veloce degli alpini in armi. Arriva intanto il gen. Rossi e, per ingannare il tempo ci immergiamo nel ricordo dei bei tempi. Arriva la compagnia. Tenente Meriggi, comandante, in testa, distanze di squadra, passo svelto, proprio come nei bei tempi andati e ci avviamo verso la cima Lozze dove Paolo e Vittorio fanno un inquadramento topografico e storico che fa capire ai presenti il perché ed il percome la guerra si svolse tra queste pietraie.

    Mi giro e vedo molti alpini in congedo intorno agli alpini in armi che ascoltano attenti e scrutano queste burbe dai cognomi non proprio nostrani e dagli accenti che tradiscono una provenienza non certo alto atesina. Si prosegue lungo la linea italiana fino a Pozzo della Scala, il varco sud, il baito, per imboccare il vallone dell’agnellizza. Dietro non sento più smoccolare e vedo che la colonna si è allungata, ed il passo in alcuni non è più così gagliardo, ma anzi è un po sofferente. Bene o male arriviamo a quota 2003, e ci prepariamo per l’irradiamento di plotone.

    Manifesto a Paolo le mie perplessità sul fatto di guidare il plotone lungo il famigerato canalino e Paolo testualmente: Ancorché capitano, sono ai tuoi ordini, per cui quello che tu decidi mi va bene . Di fronte a questa manifesta sfida non posso certo tirarmi indietro ed allora, dopo un ulteriore inquadramento storico si decide che io, con il plotone alfa ed il comandante di compagnia affronterò il canalino, Vittorio con il plotone bravo affronterà la normale che passa per la galleria Biancardi, mentre Paolo guiderà il plotone charlie verso la selletta tra quota 2105 e 2101.

    Punto di ritrovo, nei pressi della lapide del Ten. Ferrero. Un folto pubblico di alpini ed escursionisti fa capolino da quota 2101, curioso di vedere in azione gli alpini. Parto rapido sotto gli strapiombi di quota 2101, facilitato, a dire il vero, dalle corde fisse magistralmente poste dagli alpieri del 7º. Mi sembra di volare tra gli sfasciumi, senza troppo curarmi degli evidenti resti degli apprestamenti austriaci che ancora sono visibili in questo scosceso percorso. Guardo avanti tiro dritto e mi trovo da solo. Gli alpini avanzano saldi ma con qualche titubanza.

    Guardandoli viene spontaneo ripensare ai veci del Bassano che questo percorso, 92 anni fa, lo fecero di notte, affardellati, con armi e munizioni e sempre con la paura di svelarsi a causa di un rumore, di un sasso che rotola, e divenire così facile bersaglio del nemico incombente. L’entusiasmo è comunque tanto e l’ultimo tiro viene superato di slancio, ritrovandoci così sulla spianata ai bordi della Dolina Grande. Ci raggiungono gli altri due plotoni, e viene concessa una pausa. Le alpine entrano nella caverna della Hilfeplatz per cambiarsi. Gli alpini se ne stanno tranquilli vicino ai loro zaini. I tempi sono proprio cambiati . Vent’anni fa lo Sten di turno avrebbe dovuto fare ricorso alla Beretta per tener distanti i najoni da alcune belle ragazze che si cambiano .

    Dopo le foto di rito ed un’ulteriore illustrazione storica da parte di Paolo si riparte per la colonna mozza di quota 2105, dove erano ad attenderci, con il loro vessillo, alcuni amici della sezione di Asiago. Qui il reparto viene formalmente inquadrato e presentato al gen. Rossi, comandante della Julia, che tiene un breve discorso alla truppa, nella quale esprime il suo apprezzamento per quanto hanno saputo dimostrare gli alpini nella giornata in corso. Decide poi che la marcia odierna doveva essere considerata la marcia della penna per coloro che, per la prima volta avevano affrontato un’uscita impegnativa ed aspra come questa. Con grande sorpresa dei presenti gran parte della compagnia si schiera sulla sinistra, fronte 5, con il cappello in mano!

    Il gen. Rossi, io, Paolo, Vittorio, ed un amico della Sezione di Asiago prendiamo il cappello dalla mano del ragazzo, glielo poniamo sul capo e lo battezziamo alpino! Per me sono passati vent’anni da quando, in quel di Aosta il s.ten. Gardi mi mise in testa il cappello alpino, e di quel momento ricordo tutto, ogni espressione, ogni dettaglio. E credo che, per questi ragazzi, ricevere il cappello alpino dal proprio generale avendo come testimone la Colonna mozza dell’Ortigara sia uno di quei momenti indimenticabili della propria esistenza.

    E poco importa se non provieni da una zona di reclutamento alpino , se hai l’accento campano, se sei sempre vissuto in riva al mare, se sei uomo o donna! Da questo momento sei un alpino e resterai per sempre in questo mondo! Che, a dire il vero, è un po’ strano il mondo degli alpini, visto che ti può capitare di trovare un generale di C.A., e che generale, trattandosi di Italico Cauteruccio, passeggiare tranquillo nei dintorni della Colonna Mozza ed assistere alla scena della consegna del cappello.

    Riconosciuto dal Gen. Rossi, ben accondiscende ad una foto con tutta la compagnia proprio sulla colonna mozza. Viene letta la preghiera dell’Alpino, si rendono gli onori ai Caduti e si ridiscende veloci alla Baita Cecchin, concludendo formalmente l’esercitazione con un rancio che gli alpini moderni sbranano esattamente come quelli di una volta. E se chiudo gli occhi sento ancora lo stesso vociare, le voci di Felloni, Loda, Breveglieri, Casoni, Censi, Pini . i miei alpini di vent’anni fa. Manca solo qualche raglio di mulo. Ma questa è un’altra storia.

    Roberto Genero

    Pubblicato sul numero di settembre 2009 de L’Alpino.