Con austriaci e sloveni in Ortigara

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    Erano più di novant’anni che le vette dell’Ortigara e del monte Chiesa non sentivano le voci di soldati dell’imperial regio esercito. Eredi del 17° Infanterie K.u.K. Regiment di Lubjana e del 59° Infanterie Regiment “Rainer” di Salisburgo calcano ancora le linee che, dal 1916 al 1917, i loro nonni avevano costruito, rafforzato, difeso nel corso di terribili scontri culminati con la battaglia dell’Ortigara del 1917… Ma andiamo con ordine.

    La sezione di Marostica, dal 2006, si occupa di coordinare i volontari dell’ANA per ripristinare e mantenere il campo di battaglia simbolo delle Truppe alpine, l’Ortigara. Nel 2010 accompagnammo in visita una delegazione dell’IFMS, la Federazione internazionale dei soldati di montagna. L’idea nacque proprio in quell’occasione. Un campo di battaglia è composto di due parti e se noi stiamo curando la “nostra” perché non coinvolgere anche “gli altri” per curare la propria? Ne parlai con il presidente sezionale Fabio Volpato che si disse subito d’accordo, anche se sembrava un’idea folle, ma non lo sembrava anche quando iniziammo quella che è divenuta “l’operazione Ortigara”?

    Tramite i buoni uffici del consigliere nazionale Franco Munarini entrammo in contatto con gli amici sloveni dell’IFMS, nella persona di Fedja Vranicar, mentre avevo già contatti con i “Rainer” del 59° perché da diverso tempo accompagnavo Paul Wieland ed altri amici austriaci all’annuale pellegrinaggio in Ortigara. Non nascondo la sorpresa e la gioia che ci colse quando la nostra proposta fu entusiasticamente accolta da entrambe le associazioni! Provate a mettervi nei loro panni: qualcuno vi chiede di venire a lavorare a 3/400 chilometri da casa a 2.000 metri di quota, in un posto dimenticato da Dio, solo in virtù di un sentire comune di rispetto per le proprie radici e per i propri ideali. Bisogna proprio sentirli questi valori!

    Tralasciamo di raccontare del mare di email scambiate per organizzare il tutto ed arriviamo ai giorni delle operazioni, il 21-24 luglio per gli sloveni e 11-14 agosto per gli austriaci. Capitanati dal generale di brigata Janez Kavar, coadiuvato dal nostro “gancio” col. Fedja Vranicar, i 9 sloveni arrivano nel pomeriggio di giovedì 21. Accolti dal presidente Volpato, assieme al fido Giuliano Basso li accompagnamo al rifugio Tre Fontane, in alta Val Galmarara, che fungerà da base per tutta l’operazione.

    Dopo una serata trascorsa a fare conoscenza reciproca, anche grazie ai buoni uffici dell’ottimo rosso delle nostre colline, ci diamo appuntamento con la sveglia per le sette del giorno dopo. Infatti, alle sei e mezza siamo pronti a partire per il monte Chiesa, anche se i nostri amici stavano già “pestolando” dalle sei. La provvidenza ci gratifica di una meravigliosa giornata così che abbiamo modo di illustrare ai nostri ospiti le caratteristiche della loro linea che aveva nella Val Galmarara una delle principali vie di supporto logistico. I nostri amici fotografano, chiedono, guardano. E si commuovono quando, ad una svolta della stradina mostro il primo cippo che ricorda il 17° – Infanterie di Lubjana.

    Con qualche peripezia fuoristradistica arriviamo sul monte Chiesa e, lasciati i mezzi, ci incamminiamo per il breve tratto che porta alla Dolina degli Sloveni. Sarà stata l’aria fine della montagna a far inumidire gli occhi ai nostri amici quando, tutti assieme, ci siamo raggruppati attorno alla lapide, in sloveno, posta proprio in centro ai baraccamenti? Passato questo momento si distribuiscono gli attrezzi e si comincia: chi taglia col decespugliatore, chi spazza i pavimenti in larice che ancora rimangono, chi toglie le erbe dagli interstizi e chiude i buchi con un po’ di malta. Arriva Gianni Lombardi con il terzo mezzo ed il rancio. Si affianca a Janez che aveva cominciato a ripulire una scala in pietra.

    Lavorano insieme, in silenzio, scambiandosi rari cenni per meglio svolgere il lavoro. Un italiano ed uno sloveno a riportare alla luce una memoria… Potremmo scatenarci con la retorica, ma credo che quest’immagine, da sola, valga più di mille parole. Lavoriamo fino a mezzogiorno, poi ci concediamo una piccola pausa. Usciamo dalla dolina e ci portiamo sulla cresta e poi sulla trincea di prima linea. Si capisce molto bene perché gli alpini non riuscirono neanche ad immaginare di attaccare queste posizioni.

    Il lavoro prosegue fino a sera. Lasciamo i materiale nella dolina e ritorniamo ai mezzi. Saliamo sul caposaldo del Chiesa. Una sosta “obbligatoria” per una foto al monumento del 17° di cui Janez ha una foto storica che mi dona. Visitiamo il Thurmau Tunnel e la “busa del giasso” ed i nostri amici capiscono quanto hanno lavorato i loro padri. Torniamo prendendola alla larga, passando per Campo Gallina, sede del comando della 6ª Divisione austroungarica e poi la sera, in rifugio, è una sfida a canti e battute nelle lingue più disparate, italiano, sloveno, dialetto di Santa Caterina, tedesco, inglese… Armando scopre di essere nato con un solo giorno di differenza con Janez.

    Da quel momento diventano amici fraterni e conversano amabilmente, l’uno in sloveno e l’altro in “santacaterinese”, traducendo il tutto in gesti, “motti” ed ammiccamenti da far invidia al miglior Dario Fo. Sabato Giove pluvio si prende la rivincita. Pioggia, nuvole, vento… Mettiamo in pratica il piano “B”. Ritorniamo alla dolina per recuperare il materiale lasciato il giorno precedente poi, passando per le linee del Monte Forno, rientriamo nella parte italiana e giù ad Asiago per visitare il Sacrario del Leiten. Foto di rito, i nostri amici sfogliano le pagine del libro di bronzo che ricorda i tanti Caduti dell’imperial regio esercito qui sepolti e riconoscono tanti nomi comuni in Slovenia. Perché tanti occhi lucidi? Che abbiano tutti la congiuntivite?

    Ritorniamo in quota, al rifugio Cecchin dove troviamo ad attenderci l’architetto Vittorio Corà, il nostro referente per la Comunità Montana “Spettabile Reggenza dei Sette Comuni”. Un’ampia schiarita consente a Vittorio di guidare gli sloveni ad una visita alla linea italiana. Rientriamo nottetempo al Tre Fontane, pronti per la cerimonia del giorno dopo. Alle otto di domenica cominciano ad arrivare i gruppi, i vessilli di Marostica ed Asiago, il presidente Fabio Volpato, la TV. Una cerimonia semplice, alzabandiera con il canto dell’inno italiano e sloveno, onore ai Caduti, discorsi di circostanza, scambio di doni e gagliardetti e consegna della mostrina di Campagna. Un tenente che decora un generale! Cose che succedono solo con gli alpini!

    Le parole dei discorsi non rendono giustizia di ciò che sentiamo. Non abbiamo fatto nulla d’eccezionale ma credo che l’unità d’Europa passi anche per la conoscenza reciproca, per la capacità che dobbiamo avere di smussare le differenze ed enfatizzare i punti comuni. Si sale sui mezzi ed accompagno i nostri amici all’autostrada. Ci fermiamo prima del casello, hanno ancora tanta strada da fare.

    Fedja spalanca le braccia in un grande sorriso. Ci abbracciamo, non servono parole. Saluto tutti gli altri, ci ritroveremo perché sono più le cose che ci uniscono che quelle che ci dividono! Agosto arriva in fretta. Io e Fabio accogliamo i nostri amici Rainer davanti al Leiten giovedì 11 agosto alle 18. Conosco solo Paul ed Albert, perché nostri ospiti al recente pellegrinaggio in Ortigara, ma basta qualche birra ed un po’ di rosso per entrare subito in sintonia. Ci trasferiamo rapidamente al rifugio Cecchin dove i nostri amici prendono possesso dell’accampamento.

    La serata scorre veloce, tra un canto e una schitarrata di Albert, gran musicista. Impariamo, o almeno seguiamo borbottando, l’inno dei Rainer una marcia molto orecchiabile che i nostri amici cantano ripetutamente, tra un rosso e l’altro. Andiamo a dormire che ancora cantano, e la finiranno molto ma molto tardi. Pensiamo: “Alla sera leoni, al mattino…”. Invece al mattino dopo la truppa austriaca è bella fresca e pimpante per l’alzabandiera delle 7,30. Carichiamo zaini ed attrezzi e, in un’oretta e mezza di cammino, arriviamo nella zona del cippo austriaco di quota 2101, dove troviamo Paolo Pozzato che, in un ottimo tedesco, si porta un po’ in giro i Rainer ed illustra loro gli eventi bellici dell’Ortigara visti dalla loro parte.

    Terminato il giro illustrativo si vede che gli austriaci hanno voglia di “menare le mani”. Rapidamente si portano sulla trincea sotto il cippo e, assieme a nostri volontari di Bergamo, Vicenza e Cento, ci danno dentro di brutto. La trincea è colma di detriti, per uno spessore variabile tra un metro ed un metro e mezzo, ma loro sembrano instancabili, soprattutto quando comincia ad emergere qualche reperto, qualche colpo, qualche caricatore di pistola mitragliatrice Villar Perosa. Si va avanti tutto il pomeriggio e si rientra a sera.

    Saranno anche fatti d’acciaio ma la sera pochi canti, una bella mangiata ed a letto presto. Il sabato stessa storia con la differenza che, conoscendo oramai la strada, partono in volata, arrivando in zona di lavoro con una buona mezz’ora di anticipo sugli “italiani”, dandoci dentro a tutto spiano. Energia che sembra aumentare ulteriormente quando viene rinvenuta una baionetta austriaca e qualche altro reperto che rendono molto felici i nostri amici. I molti passanti, sentendo parlare tedesco e vedendo quest’attività, s’incuriosiscono e si fermano.

    Penso che abbiamo fatto più pubblicità alla nostra attività di recupero delle trincee in questa giornata che non nei cinque anni precedenti! Arriva sera. Non abbiamo più tanta voglia di cantare, ognuno riflette sulle giornate appena trascorse, su cosa e su dove ha messo le mani, sulla nostra storia, sulla nostra vita. Non è malinconia ma la consapevolezza che, se la storia è fatta dalla somma di tanti atti personali, forse abbiamo scritto una piccolissima pagina nella storia dei nostri Paesi. Domenica mattina arriva il presidente Volpato, i vessilli di Marostica ed Asiago, i gagliardetti di tanti gruppi. Andiamo alla Madonnina, i Rainer nella loro uniforme del 1917 con il loro stendardo che garrisce al vento.

    Alzabandiera, onore ai Caduti, deposizione di corone ai piedi della Madonnina, discorsi di rito, emozione e commozione quando consegniamo la mostrina di Campagna, quella che viene consegnata solo a coloro che si sono “sporcati le mani” su questa terra bagnata dal sangue dei nostri padri per conservarne imperitura la memoria. Anche in questo caso non servono tante parole, basta guardarsi negli occhi e, anche se non si parla la stessa lingua, basta un cenno per comprendere. Si sta bene, non serve altro.

    Velocemente disfiamo il campo, carichiamo i mezzi e li accompagniamo a piazzale Lozze. Hanno tanta strada da fare per arrivare a casa. Al piazzale gli ultimi saluti. Gianni chiede loro di cantare per l’ultima volta l’inno del reggimento. I Rainer si abbracciano e cominciano: “Hoch Regiment der Rainer, als tapfer all bekannt, wir schützen unsere Heimat, und unser Vaterland…” (Avanti reggimento Rainer, conosciuto da tutti come eroico, noi proteggiamo la nostra Patria e il Paese dei padri). Cantano della loro patria, della loro casa, delle loro famiglie, esattamente come le cantiamo noi nelle nostre canzoni. Ma allora perché tanti anni fa ce le siamo suonate di brutto?

    Roberto Genero