Comprendere per condannare

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    Ho letto con attenzione la lettera di Maurizio Mazzocco di Legnago, pubblicata su L’Alpino, dal titolo “Onori al Carnefice”. Da appassionato di Storia (che ha il compito di aiutare a comprendere e non di giustificare), modestamente osservo come i “sentimenti popolari” citati nella lettera del Sig. Mazzocco, se non corroborati dalla storia documentata e provata, corrano il rischio di diventare populismo stereotipato.

    La tragedia delle foibe, perché tale è stata e tale deve essere ricordata, dovrebbe alimentare oggi, a distanza di tempo, quella curiosità che ci aiuterebbe a capire e comprendere il perché di quel massacro. Ripeto, non a giustificarlo! I paesi Balcanici sono sempre stati nel mirino della politica italiana fino alla seconda guerra mondiale: la conquista dell’Albania, l’invasione della Grecia, l’invasione della Jugoslavia ne sono la prova inconfutabile. L’italianizzazione forzata, che ebbe inizio con la conquista di Fiume nel 1919 da parte di Gabriele D’Annunzio, ebbe il demerito di disequilibrare la pacifica convivenza tra etnie diverse (Trieste era considerata la capitale della Mitteleuropa) ed i primi che se andarono, intimoriti dal boicottaggio e anche dalla persecuzione, furono gli ungheresi, i tedeschi e gli austriaci, mentre rimasero gli sloveni ed i croati perché era la loro terra. Nel tempo, l’opera di italianizzazione proseguì col fascismo: la casa della Cultura Slovena data alle fiamme a Trieste, l’italianizzazione dei cognomi sloveni e croati, l’italianizzazione dei toponimi dei paesi delle Valli del Natisone, il divieto ai sacerdoti di predicare in sloveno, il divieto di pubblicare libri e giornali in lingua slovena e croata, questi solo alcuni esempi. Chi non ubbidiva a questi ordini, era imprigionato, deportato o fucilato. Poi venne la seconda guerra mondiale e con essa anche l’occupazione militare italiana della Jugoslavia. I generali dell’esercito italiano Robotti e Roatta (significativa la frase scritta da quest’ultimo in un dispaccio in cui si lamentava coi suoi sottoposti “qui si ammazza troppo poco”!!), non furono certo delle crocerossine, ma ordinarono fucilazioni, bruciarono villaggi, recinsero col filo spinato la città di Lubiana e deportarono civili inermi, come vecchi, donne e bambini. Ne sono testimonianza il sacrario jugoslavo di Gonars che contiene 472 salme di civili internati dal regime fascista, l’ex campo di concentramento di Monigo a Treviso che raccoglieva oltre 2.000 deportati, oltre ai campi di Padova ed in Sardegna. Poi la questione è entrata nel dimenticatoio per alcuni decenni, e il motivo è semplicemente spiegabile: quando l’Italia chiese alla Jugoslavia di Tito i responsabili dei massacri delle foibe, Tito chiese i responsabili dei massacri e delle deportazioni dei civili jugoslavi. Pro “bono pacis”, funzionale anche alla buona riuscita del trattato di Osimo, i due paesi ci misero una pietra sopra (con l’assenso delle potenze internazionali, Inghilterra in testa) leccandosi ognuno le proprie ferite. Questo, in estrema sintesi, il mio racconto. L’unico neo, a mio parere, la risposta “pilatesca” del direttore.

    Daniele Guiotto – Caerano di San Marco (TV)

    Caro lettore, tu dici che è importante capire il perché di un massacro. L’importante è mettersi d’accordo su cosa significhi capire. Quello che il nostro alpino Mazzocco contestava era che in Italia esistano ancora delle vie intitolate al Maresciallo Tito. Mettiamo che la tesi che tu sostieni sia vera e cioè che si sia trattato di una voglia di rivincita, praticata mandando a morte decine di migliaia di innocenti, secondo te giustifica che noi ne celebriamo la memoria mettendo il suo nome accanto a quello dei nostri eroi? No, caro amico. Bisogna capire, ma capire fino in fondo. E per capire fino in fondo bisogna sapere che le violenze non furono soltanto la vendetta per il ventennio di italianizzazione forzata, ma anche una strategia per slavizzare la regione, colpendo gli italiani perché italiani. Non dimentichiamo che si parlava allora, per il dopo guerra, della Venezia-Giulia come settima repubblica jugoslava. E per capire ancora più a fondo bisognerebbe chiedersi perché delle foibe si è iniziato a parlare solo recentemente. La verità è che il PCI in un primo momento appoggiò l’idea di annettere il Nordest alla Jugoslavia. Poi, quando Tito ruppe con Stalin, cambiò parere, ma evitò accuratamente di parlare dei massacri, per paura di dover mettere in piazza i crimini perpetrati da alcuni membri della Resistenza. Anche la DC ebbe le sue responsabilità nel custodire un pilatesco silenzio. Avere uno Stato cuscinetto non alleato con l‘Urss, ai tempi della guerra fredda, era un boccone troppo ghiotto, per andare a rispolverare vecchie ruggini, macchiate di sangue. Tu dici che la mia risposta è pilatesca quando dico che pecunia non olet, cioè che i soldi (in questo caso interessi politici) non hanno odore. Con tuo disappunto continuo a ragionare così, convinto che è stato solo l’opportunismo ideologico e politico a lasciare nell’oblio, per tantissimi anni, tantissimi morti innocenti. Mentre si continua a far memoria, nelle indicazioni topografiche, di un finto eroe con le mani piene di sangue.