Cimmino racconta Gabriele D’Annunzio: serata a Milano

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Fu figlio di un’Italia inquieta, scossa e mutevole. Volontario durante la prima guerra mondiale respirò e visse i palpiti dell’irredentismo fino a diventarne espressione e mito. Gabriele D’Annunzio, poeta e guerriero, esteta e narciso, spirito ardimentoso e sensibile, incrociò fatalmente, e suo malgrado, il Fascismo nascente. Di lui sappiamo molto e molto poco. Il mito spesso sopravanza la realtà e la realtà, altrettanto sovente, viene velata dal mito che il personaggio non smentisce né conferma per creare quell’aura di mistero che tutt’ora lo avvolge.
A un tema così affascinante e denso il Comitato per il Centenario degli alpini del gruppo Milano Centro “Giulio Bedeschi” ha dedicato la serata culturale del prossimo 16 novembre, con appuntamento nella Sala “Dante Belotti” di via Rovani (ore 21). Sarà relatore lo storico militare Marco Cimmino, esperto e studioso di prim’ordine.

 

Il poliedrico argomento della serata sarà scandagliato con artificio analitico dal relatore che userà la figura del poeta pescarese come lente d’ingrandimento per mettere a fuoco anni di storia, attraverso gesta e intuizioni dello stesso D’Annunzio.

Il Vate, come amò farsi chiamare, del resto è emblema tanto complesso degli anni a cavallo della Grande Guerra da aver lasciato più impronte indelebili. Lo troviamo il 5 maggio 1915, sullo scoglio di Quarto, all’inaugurazione del monumento a Garibaldi e ai Mille. La guerra europea durava ormai da nove mesi e l’Italia si preparava a prendervi parte: il 26 aprile, per volontà di Vittorio Emanuele III, Antonio Salandra e Sidney Sonnino, era stato sottoscritto a Londra il Patto che impegnava la nostra nazione a entrare in guerra a fianco della Triplice Intesa. La società italiana, che non sapeva del Patto, era però divisa fra intervento e neutralità. Di sotto l’imponente statua dello scultore Eugenio Baroni, D’Annunzio pronunciò la sua Orazione stentorea e ricca di una retorica sanguigna. «Italiani d’ogni generazione e d’ogni confessione, nati dall’unica madre, gente nostra, sangue nostro, fratelli» esordì il Vate per incitare i connazionali all’intervento.

Lo ritroviamo ancora quale attore dell’impresa di Vienna (lancio di volantini tricolori dal suo aereo sui cieli della capitale nemica); e comandante nell’occupazione di Fiume.

Fu lui ad inventare, con splendida fortuna il motto “Eia eia alalà” lanciato la prima volta il 9 agosto 1917 nel campo aviatorio della Comina, al ritorno dal bombardamento di Pola. In realtà quella espressione fu plagiata (con abilità e silenzio) da un testo del Pascoli, ed evidenziò la conoscenza della storia e della cultura classica di D’Annunzio: se “Alalà!” era l’urlo di guerra del dio greco Ares (ripreso in seguito anche dei Crociati), “Eia!” era il grido con cui, secondo la tradizione, Alessandro Magno era solito incitare il suo cavallo Bucefalo.

Il Vate condusse vita stravagante, avventurosa e passionale, tra oggetti d’arte, belle donne, stoffe preziose, cavalli e levrieri di razza. A creargli intorno un alone di mito contribuirono anche i suoi amori, specie quello, lungo e tormentato, che lo legò alla grandissima attrice Eleonora Duse.

D’Annunzio è considerato l’esponente più significativo del Decadentismo italiano e l’analisi della sua personalità riguarda, oltre che la storia della letteratura, l’intera storia della cultura di massa, della politica, del costume e della società italiana tra l’Ottocento ed il Novecento.

Ascoltare Marco Cimmino il prossimo 16 novembre sarà un piacere e una scoperta.

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