Ciò che ci insegna la barbarie

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Ciò che ci insegna la barbarie Chissà cosa direbbero Joseph Mohr e Franz Gruber, autori rispettivamente delle parole e della melodia di Stille Nacht, se solo potessero farci conoscere il loro pensiero. Era il 1818, una vigilia di Natale, quando da una piccola località dell’Impero Austroungarico si irradiò nel mondo un inno all’amore, divenuto nel tempo patrimonio morale dell’Unesco. Cento e novantotto anni dopo, i suoni armoniosi di quel canto di pace sono stati travolti dallo stridore di un camion seminatore di morte. È accaduto a Berlino il mese scorso. 

Ultimo anello della catena di Caino, gestita da menti che l’istinto ci spinge a definire come appartenenti alla zoologia. Era accaduto a Charlie Hebdo, poi al Bataclan, di Parigi, quindi a Nizza, Bruxelles… ora a Berlino. La prossima? Chissà! Ma non chissà se…, piuttosto chissà dove. Perfino il mistero del Natale, che il mondo intero celebra come la notte della nostalgia per l’innocenza perduta, non ha potuto fermare la follia omicida, mascherata da ideali religiosi. Cittadini occidentali, semplici cristiani, falcidiati come birilli perché occidentali e perché cristiani.

Distrutti, fisicamente. Distrutti come si sono voluti distruggere i Buddha di Bamiyan, in Afghanistan, o i reperti plurimillenari di Palmira, nel deserto di Siria. La vita delle persone ridotta a semplice cosa, da buttare nel secchio della spazzatura, se non è funzionale all’arredo del tuo delirio. Quale messaggio ci può venire da uno scenario così inquietante e apparentemente senza risposte? Il pericolo è quello di lasciarsi suggestionare da una irrazionale emotività.

Trovo scandaloso che qualcuno, per ragioni di bottega, giochi le carte strumentalmente, trasformando i lutti in opera di sciacallaggio politico. Se mai c’è una cosa di cui dobbiamo far tesoro, è renderci conto dell’importanza della nostra identità, quella che si è definita nei secoli, come millenaria civiltà cristiana e che oggi, la stessa Europa dice di non voler più riconoscere. Che poi non si tratta di identità confessionale, quasi ad intruppare la società dentro le chiese.

Civiltà cristiana vuol dire ricerca di democrazia per mettere al centro la persona, diritti e rispetto della donna, valore della cultura come fondamento di emancipazione e libertà, pluralismo e libertà religiosa, separazione tra Stato e Chiesa nel reciproco rispetto, tradizioni e arte cristiana come patrimonio storico-culturale…

Sono questi i principi che i nostri nemici percepiscono come fumo di satana, come attentato alle loro traballanti dittature, che si trascinano nella negazione dei diritti fondamentali e nel buio dell’ignoranza. Ma è solo da questi principi che si potrà garantire all’umanità un futuro di pace. Troppo frettolosamente questa Europa ha creduto di potersi liberare del suo passato e della sua identità, convinta che ciò la liberasse dal dover pagare un pedaggio clericale.

Oggi sono i monatti della morte ad obbligarci a ripassare la lezione, per sapere chi siamo e da dove veniamo. Noi alpini lo abbiamo sempre ricordato. Almeno a parole, sempre. Una missione da portare avanti nei fatti, com’è consuetudine per chi ama fare.

Bruno Fasani