Centinaia di volontari sull'Ortigara per recuperare i sentieri della storia

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    Questi i numeri: 266, 24, 14, 585, 60, 1.000, 1. Non sono i numeri di un codice segreto. Sono i numeri che descrivono, in sintesi, l’operazione Ortigara 2008. Quasi costretti ad organizzarla, stante la gran quantità di richieste pervenute già dalla primavera del 2008, sia da chi aveva partecipato all’operazione Ortigara 2007, sia da chi, avendone sentito parlare, voleva provare quest’esperienza, 266 alpini e non, provenienti da 24 sezioni d’Italia, si sono avvicendati in 14 turni di lavoro, per complessive 585 giornate lavorative, spalando dalle trincee, a mano e con il solo ausilio di alcuni secchi, circa 60 metri cubi di materiale, e mettendo a nudo oltre 1.000 metri di trincee, appostamenti, gallerie, muri a secco, ricoveri e quant’altro era rimasto sepolto da novant’anni di storia.

    La grande fameja alpina si era messa in moto già alla metà di maggio quando le pattuglie esploranti si preoccupavano di aprire la strada ed assicurarsi che si potesse giungere nei pressi della Baita Cecchin per i primi di giugno. Si provvedeva a montare il campo, grazie ai tendoni gentilmente forniti dalla sezione di Valdagno, e si predisponeva la logistica necessaria per far vivere le squadre a 2.000 metri di quota.

    Gli accordi presi con l’Ecomuseo della Grande Guerra e la Comunità Montana Spettabile Reggenza dei Sette Comuni prevedevano di continuare l’intervento di pulizia dalla vegetazione infestante e di cominciare a pulire dal materiale di risulta l’interno delle trincee poste nei dintorni della Madonnina dell’Ortigara, ossia a quota 1912 di cima Lozze. E finché i nostri alpini scavavano, il nostro storico Paolo Volpato scavava negli archivi romani dello Stato Maggiore dell’Esercito e del museo della fanteria, trovando molto materiale relativo proprio a quota 1.912 e mettendo in rilievo come, a suo tempo, fosse stato un importantissimo sito logistico, indispensabile per l’organizzazione della sfortunata battaglia dell’Ortigara del 1917. Ma questa è un’altra storia, che forse racconteremo.

    I lavori procedettero con alacrità e, lavoro durante, hanno riservato alcune sorprese. Infatti, è stata portata alla luce una meravigliosa scala di legno e sasso all’uscita della galleria che dalla baita Cecchin porta alla trincea di resistenza. Inoltre, e questo grazie agli alpini di Feltre, Latina, Padova, Valdagno ed Asiago, è stata quasi completamente portata alla luce e rimessa a posto una scala ricavata in roccia che porta alla batteria in caverna di Cima Lozze.

    Queste scoperte hanno fatto sì che le priorità concordate sui lavori fossero riviste in modo da privilegiare i recuperi di questi importanti manufatti rispetto ad altre opere in programma. Infatti, i documenti a disposizione non indicavano tutti gli apprestamenti che abbiamo trovato sul terreno e che sono ora noti grazie alla misurazione effettuata dai geometri dell’Istituto Superiore Casagrande e dalle rilevazioni GPS svolte dall’architetto Vittorio Corà dell’Ecomuseo della Grande Guerra.

    Il clima è stato quello di sempre. Ognuno faceva quello che sapeva, per quanto poteva, nel segno di reciproca collaborazione che oramai solo gli alpini sanno creare, ottenendo un risultato di tutto riguardo. Tutti hanno lavorato con impegno e dedizione, consci che si stava letteralmente scavando la storia. Ed i momenti di allegria si sono mischiati a momenti di grande commozione quando è stato trovato un piccolo calamaio di vetro con ancora l’inchiostro ed i resti di un pennino che un nostro vecio avrà usato per scrivere a casa

    Ma quest’anno, oltre a lavorare, abbiamo fatto qualcosa in più. Infatti, abbiamo integrato il Progetto Ortigara con il Progetto di Diffusione della Cultura Alpina. Grazie ad alcuni dei docenti che lo scorso anno parteciparono ad un convegno realizzato ‘ad hoc’ siamo entrati in contatto con alcune scuole e gli insegnanti stessi ci hanno proposto di portare i ragazzi a lavorare per il fine settimana. Le scuole coinvolte sono state Istituto Superiore Casagrande di Pieve di Soligo con 16 ragazzi e l’Istituto Marzotto di Valdagno con altri 31.

    Mercé poi l’Adunata Nazionale che ha risvegliato l’interesse della popolazione per il Corpo degli Alpini abbiamo ulteriormente avuto un gran riscontro nelle scuole di competenza della Sezione con incontri, dibattiti, conferenze ed escursioni guidate. Il bilancio dell’attività sotto questo punto di vista è stato più che lusinghiero in quanto, guidati dagli alpini, sono saliti in Ortigara circa 200 studenti e scolari di scuole d’ogni ordine e grado (ci mancano solo le scuole materne, ma ci stiamo lavorando ).

    Questo progetto sicuramente proseguirà anche l’anno prossimo. Il prossimo passo sarà di mettere in contatto le scuole che abbiamo coinvolto con gli alpini del territorio di cui le scuole fanno parte, perché sarebbe molto bello che fossero gli alpini del posto a portare in Ortigara i loro ragazzi. Inutile dire che il bilancio di questa stagione è stato assolutamente positivo.

    Un ringraziamento agli alpini dei 14 gruppi della Sezione di Marostica che si sono avvicendati nella custodia della Baita assicurando, con un lavoro silenzioso ma per questo non meno prezioso, l’assistenza logistica ai vari turni ed ai passanti che venivano a vedere l’avanzamento dei lavori. E l’1?L’1 è il numero delle alpine che hanno partecipato al progetto. Anzi è il numero dell’alpina Sandra Casalino di stanza a Bolzano ed originaria di Avellino.

    Libera da servizi ha deciso di trascorrere con noi il fine settimana del 22 giugno, prima di partire per una missione in Ciad. Non le è stato risparmiato nulla. Ha spalato, mangiato e vissuto con gli alpini. È stata battezzata e comunicata , come si conviene ad una burba in mezzo a tanti veci , ed ha promesso di ritornare l’anno prossimo. Da sola?Speriamo proprio di no. Perché per completare l’opera in Ortigara manca un segno, mancherebbe la partecipazione degli alpini in armi. Ma questa è un’altra pagina della storia che forse scriveremo.

    Roberto Genero
    presidente della Sezione ANA di Marostica

    Pubblicato sul numero di novembre 2008 de L’Alpino.