Alla foiba di Basovizza

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    Lo scorso 10 febbraio, per la celebrazione del “Giorno del ricordo”, sul piazzale antistante la Foiba di Basovizza si sono schierati oltre 400 Alpini con 26 vessilli sezionali delle regioni Friuli Venezia Giulia, Veneto, Trentino Alto Adige e Lombardia. Molti i gagliardetti dei Gruppi e numerose anche le rappresentanze delle altre Associazioni d’Arma, degli esuli, dei parenti degli infoibati, della Lega nazionale di Trieste e di varie Associazioni patriottiche.

     

    La cerimonia ha avuto inizio con l’ingresso dei gonfaloni delle città di Trieste e Gorizia, seguiti dal Labaro dell’ANA accompagnato dal presidente Sebastiano Favero e dai consiglieri nazionali e dal Labaro dell’Associazione Nazionale Cavalleria (per la prima volta a Basovizza) col suo presidente Alipio Mugnaioni. Gonfaloni e Labari hanno ricevuto gli onori militari da un picchetto armato dei Cadetti della Nunziatella. La cerimonia è proseguita con l’alzabandiera e la consegna da parte del prefetto di Trieste, Francesca Adelaide Garufi, di medaglie d’onore del Presidente della Repubblica ai congiunti degli infoibati. Quindi la deposizione di corone d’alloro e l’onore alle vittime delle foibe accompagnato dalle note del “Silenzio” e la celebrazione della Messa officiata dall’arcivescovo di Trieste mons. Gianpaolo Crepaldi.

    Il “Giorno del ricordo” a Basovizza: una cerimonia breve, semplice, ma che ha un particolare significato anche per il luogo in cui si celebra. Proprio lì, su quello spiazzo di pietre aguzze e rachitici arbusti, all’orlo del bosco di pini cresciuti storti per il vento, lì all’aperto nei primi giorni di maggio di 70 anni fa i partigiani di Tito si improvvisarono giudici e celebrarono un processo farsa, con accuse fantasiose, condannando a morte un numero imprecisato di persone in realtà colpevoli solo di essere italiani. Due preti, di sentimenti vicini ai partigiani jugoslavi, in seguito raccontarono che alcuni tra gli “imputati” vennero assolti, ma comunque tutti uccisi e gettati nella foiba.

    Non tutti – raccontò uno dei prelati – furono fucilati prima di essere infoibati: i condannati vennero sistemati sull’orlo dell’abisso legati due a due per i polsi con un filo di ferro, si sparava al primo che cadendo trascinava giù l’altro ancora vivo. Quante furono le vittime nella foiba di Basovizza? Non è dato sapersi. Qualcuno ha stimato che i loro corpi occupavano 250 metri cubi. La mattanza delle foibe a Trieste e dintorni durò dal 1º maggio al 12 giugno 1945, quando gli jugoslavi furono costretti a lasciare la città, ma continuò per anni nei territori ancora in loro possesso. Alla fine, tra Venezia Giulia e Dalmazia, “mancarono all’appello” oltre 15.000 italiani.

    Oltre alle foibe la cerimonia del 10 febbraio ricorda anche il grande esodo degli italiani che per salvare la vita vennero costretti ad emigrare… in Patria, abbandonando ogni loro avere. L’esodo durò molti anni, ma ebbe il suo apice nel 1947, dopo che il 10 febbraio di quell’anno il trattato di pace di Parigi aveva sancito la cessione di Istria, Dalmazia e gran parte della Venezia Giulia alla Jugoslavia. Molte delle piccole città, dei paesi giuliani e istriani si svuotarono. In alcuni casi la percentuale di chi dovette partire si avvicinò al 90% della popolazione. Da Pola la percentuale fu del 98%. La partecipazione a questa cerimonia è cresciuta anno dopo anno e anche quando le condizioni climatiche del Carso (neve e bora da Siberia!) consigliavano a molti di restare a casa, gli Alpini c’erano.

    Dario Burresi