Addio a Bonatti: sfidò l’impossibile riuscendo dove altri non osavano

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    Il grande alpinista Walter Bonatti si è spento il 13 settembre scorso a Roma. Era nato a Bergamo il 22 giugno 1930. Fu il protagonista di imprese ardite ed estreme negli anni ’50 e ’60. Iniziò giovanissimo l’attività sportiva nella società monzese “Forti e Liberi”, compiendo le prime ascensioni sulle Prealpi lombarde e nel 1949 ripetendo le vie già aperte da famosi scalatori sulle Dolomiti, sulle Grandes Jorasses e sul Pizzo Badile.

    Nel luglio 1951 il primo grande successo: con Luciano Ghigo scala il Grand Capucin aprendo una nuova via che da allora porta il suo nome. Bonatti era così legato alla montagna che nel 1952 quando venne chiamato sotto le armi e assegnato alla Scuola motorizzazione della Cecchignola, protestò con veemenza, tanto da essere immediatamente trasferito al 6° Alpini, dove frequentò numerosi corsi di alpinismo e roccia. Fu un ottimo allenamento in previsione del conseguimento, nel 1954, del brevetto di guida alpina.

    Allo stesso anno risale la sua partecipazione alla conquista del K2 con la spedizione guidata da Ardito Desio, della quale fu l’alpinista più giovane; una terribile avventura che segnò la sua vita. Bonatti era sceso al Campo 7 per andare a prendere le bombole d’ossigeno lasciate il giorno precedente dalla spedizione. Risalito, era stato costretto a trascorrere la notte all’addiaccio perché Lacedelli e Compagnoni avevano allestito il Campo 9 in un posto diverso da quello concordato e lo avevano successivamente accusato di aver utilizzato l’ossigeno delle bombole mettendo a rischio la spedizione. Fu un caso controverso che si è chiuso solo nel 2008, con la pubblicazione della relazione della commissione appositamente istituita dal CAI, nella quale venne avvalorata la versione dei fatti fornita tanti anni prima da Bonatti e sconfessata quella di Lacedelli e Compagnoni fatta propria da Desio.

    Nel 1955 l’impresa storica che lo fece entrare nell’olimpo dell’alpinismo: la scalata in solitaria del pilastro sud-ovest del Petit Dru sul Monte Bianco, restando in parete per sei giorni! Tra le numerose ascensioni, alcune delle quali drammatiche, ricordiamo quella dell’inverno 1956 sulla Poire, dove Bonatti e Silvano Gheser vennero soccorsi e salvati dalle guide alpine, quelle in Patagonia con la spedizione per la conquista del Cerro Torre, nel Karakorum con la spedizione diretta da Riccardo Cassin e nelle Ande.

    Nel 1961 ritornò sul Bianco, dove fu protagonista di una tragica impresa insieme ai compagni di cordata Andrea Oggioni e Roberto Gallieni nel tentativo di conquistare una cima inviolata, il Pilone Centrale del Freney: dopo essersi uniti ad altri quattro alpinisti francesi, il maltempo trasformò l’ascensione in tragedia e solo tre alpinisti sopravvissero. Bonatti decise di chiudere la carriera alpinistica a soli 35 anni, nel 1965, con un’ultima impresa: l’apertura di una nuova via sulla parete nord del Cervino, scalata d’inverno in solitaria.

    Negli anni successivi si dedicò ai viaggi d’esplorazione nel mondo, collaborando come giornalista con il settimanale Epoca, e a scrivere libri, alcuni dei quali di grande successo: “Montagne di una vita”, “Una vita così”, “In terre lontane”.

    È stato insignito di numerose onorificenze: la Legion d’Onore francese, la Medaglia d’Oro al valore atletico del CONI e di Cavaliere di Gran Croce, conferita nel 2004 dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, onorificenza poi restituita da Bonatti, che non poteva accettare che con lui venisse premiato anche Achille Compagnoni. La vertenza con quest’ultimo sull’impresa del K2, durò tutta la vita, senza mai ricomporsi.

    Bonatti sfidò l’impossibile, riuscendo dove altri non osavano. Era un mito già in vita, ora è entrato nella leggenda dell’alpinismo.