A proposito di Facebook

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    Ci eravamo lasciati a settembre, parlando di web 2.0. Dicevamo che navigare in rete oggi è diventato come entrare in un supermercato. Si compra qualcosa ma ormai sempre più spesso si vende qualcosa, mettendo informazioni, notizie, richieste, pareri…

    Quando si parla di questi argomenti il rischio è sempre quello di oscillare tra il fondamentalismo dei demonizzatori e quello, non meno pericoloso, degli ingenui. Mi limito per questa volta a parlare di Facebook, visto che sempre più di frequente ne facciamo uso personale, ma anche come Gruppi e Sezioni. Un sociologo ha detto che i moderni social network sono “una fabbrica di celibi”, ossia un modo per comunicare con gli altri restando da soli. Non sono così d’accordo. In tutte le cose ciò che conta è la misura.

    Una piazza allargata può essere l’occasione per dire quello che un tempo ci dicevamo al telefono, oppure con lettera e cartoline. Conosco alpini che conservano casse di lettere della morosa. Sogni partiti da lontano, che fanno da memoria a bellissime realtà familiari. Sono anche convinto che la dotazione umana dell’uomo rimanga intatta nella sua “quantità”, a prescindere dal modo in cui si esprime. Quanta umanità si nasconde dietro ai tratti schivi o impacciati di tante persone non particolarmente avvezze a comunicare? Ciò premesso, è pur vero che Facebook qualche incognita la presenta. Lo studio di una università tedesca ci informa che quello che passa nei nostri messaggi lascia oltre cento tracce della nostra identità.

    Un recentissimo studio di un’altra università, inglese questa volta, ci ragguaglia che dopo sole cinque cliccate su “mi piace”, gli esperti sono in grado di rilevare il nostro orientamento politico, sessuale, religioso e quant’altro. E di passarlo alle aziende interessate alle assunzioni, ovviamente. È evidente che tutto questo tocca in primo luogo la nostra privacy. Ed è un dato di fatto che sui nostri profili Facebook entrano gli occhi voraci del marketing, quelli dei servizi segreti e della polizia, operatori nell’ambito della prostituzione, dello spaccio di droghe… L’ultima frontiera è quella dei “divorzi digitali”. Basta mettersi d’accordo con qualcuno che chieda l’amicizia a nostra moglie, per sapere se lei sia effettivamente incline al tradimento, avvalorando i nostri sospetti. Una piazza, quella digitale, che mette in evidenza i nostri nei, trasformandoli spesso in pericolosi boomerang. Basti solo pensare che ormai sono moltissimi i giovani che non trovano lavoro, per le tracce lasciate su Facebook.

    Se la privacy corre qualche rischio, più grave ancora è coinvolgere gli altri nelle nostre esternazioni. Mi ha chiesto l’amicizia un signore, al quale l’ho prontamente accordata, visto che conoscevo alcuni suoi amici. Ho scoperto solo dopo che aveva un piccolo difetto. Religiosamente parlando, era fermo al Medio Evo. Ce l’aveva col Papa perché diceva che è comunista. Ogni volta che mandava un messaggio risultavo come il primo tra i suoi amici. Ora l’amicizia virtuale è finita, ma il danno è fatto. Vi ho portato questo esempio personale per richiamare sul dovere che abbiamo di vigilare, come alpini, su ciò che pubblichiamo. Ogni presa di posizione, ogni atteggiamento intollerante non sarà mai solo nostro. Esso finirà per coinvolgere l’intera Associazione e, con i tempi che corrono, serve pochissimo per farci strumentalizzare da qualche opinionista da strapazzo che non ama l’ANA.

    Entrare nel web 2.0 domanda assoluta responsabilità. Entrarci col cappello da alpino ne chiede una doppia razione, soprattutto quando si tratta della gestione del sito di un Gruppo o Sezione. Ricordando che noi siamo il Corpo degli Alpini. Se questa non è retorica, non dovremmo mai scordare che l’insipienza anche di uno solo è ferita per tutti.

    Bruno Fasani