16 rubli per “La nostra fede”

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    La nostra fede: 1914-1920. È questo il titolo di un giornaletto senza pretese, stampato nel campo di concentramento di Kirsanoff in Russia dove, nel 1916, in attesa d’imbarcarsi per l’Inghilterra e da là rientrare poi in Italia, vennero riuniti gran parte dei trentini e dei giuliani che avevano vestito la divisa austro-ungarica ed erano stati presi prigionieri dai russi dopo le battaglie in Galizia e sui Carpazi. Il giornale venne composto con i pochi mezzi a disposizione. Si raccolsero i 16 rubli che servirono a comprare miele, glicerina e colla di pesce ingredienti necessari al clichè della stampa.

    La redazione operò contro le severe disposizioni russe che vietavano ai prigionieri (anche se ex) di riunirsi ed era così composta: il direttore Clemente Marassi di Fiume, i redattori Ermete Bonapace da Mezzolombardo, Annibale Molignoni da Rabbi, Luigi Morghen da Trento, Arturo Pezzi da Mezzolombardo e Silvio Viezzoli da Istria. Fra i collaboratori ci furono: Ferruccio Spazzali da Cavalese (che per un po’ di tempo fu anche redattore), il maestro Giovanni Giacomelli da Predazzo e Guglielmo Maurina da Spormaggiore.

    Infine i tipografi Umberto Artel da Riva e Luigi Ronca da Trento. L’obiettivo del giornale che seppe allietare l’animo dei trentini e dei giuliani da febbraio a giugno 1916, era questo: “Il nostro programma è nel titolo: il nostro scopo è patriottico. Speriamo di poter rialzare il morale degli amici tutti qui radunati. Pubblicheremo quelle novità d’interesse comune che ci perverranno da qualunque parte; faremo un quadro succinto dell’azione militare sui diversi campi di battaglia e cureremo pure la parte letterario-culturale. Ma fintantoché saremo costretti a questo forzato esilio, il nostro posto è quale ce lo abbiamo scelto: è dovunque si trovano radunati degli italiani”.

    La nostra fede aveva certamente lo scopo di “italianizzare” in senso pro Regno d’Italia i profughi. Ecco giustificata la pubblicazione di articoli che esaltavano la tradizione irredentistica trentina all’epoca garibaldina; la storia dei Savoia; le vite esemplari dei trentini che – inquadrati nel Regio Esercito Italiano – avevano già dato nel 1916 la loro vita per la causa italiana. Non mancarono poi aneddoti e fatti per sollevare l’umore, tanto che uno scultore trentino e un professore istriano scrissero un’allegra parodia de “L’Inferno Dantesco”, immaginando il Sommo Poeta proprio a Kirsanoff.

    Il giornale ebbe un discreto successo anche al di fuori di Kirsanoff: giunsero esemplari a Mosca, Pietrogrado, Roma, Milano, Torino, Padova e Firenze; motivo d’orgoglio dunque per gli ideatori, ma che però fu smorzato subito, poiché qualche copia giunse inavvertitamente alle autorità russe… pertanto verso la fine di maggio giunse perentorio l’ordine di cessare la pubblicazione. Una delle ultime cose che il giornaletto fece prima di chiudere fu quella di indire una sottoscrizione per erigere un monumento funebre in memoria di coloro che morirono in quel campo. Lo stesso redattore Bonapace, scultore di professione, scrisse: “È un monumento fatto di sabbia, sassi e cementato di buona volontà. È sorto spontaneamente, plasmato dall’amore dei conterranei come un fiore coltivato da mano pietosa, sulla fossa d’uno che rimarrà sconosciuto”. L’ex tenente colonnello dell’esercito austroungarico Ernesto De Varda da Mezzolombardo, il dott. Luigi Rosati da Romeno, l’ing. Mario Stanich da Trieste, Ermete Bonapace da Mezzolombardo e Guglielmo Pilati da Moena furono i membri del comitato pro monumento.

    Dopo varie vicende e sforzi non indiffe renti, venne eretto ben solido alla base, dell’altezza di 4 metri. Sul fronte la testa del Redentore e una solida ringhiera tutt’intorno. Il prof. Silvio Viezzoli, istriano, dettò l’epigrafe: “In memoria degl’Italiani Irredenti morti nell’attesa di rivedere la Patria libera dallo straniero, la pietà dei compagni pose. – Anno MCMXVI”. Furono 36 le giovani esistenze troncate anzitempo di cui 28 trentine. Alcune curiosità a riguardo: nel 1983 le autorità sovietiche hanno dato i nomi dei 64 militari sepolti, compresi quelli deceduti durante la Seconda Guerra Mondiale. L’attuale Kirsanov è a circa 90 km da Tambov, 500 km a sud di Mosca. Il cimitero è ancora ubicato dove fu eretto il monumento nel 1916 e ogni anno una delegazione trentina si reca a rendere omaggio al luogo.

    Questa piccola storia così sommariamente descritta è occasione per fare una riflessione più approfondita in vista del centenario della prima guerra mondiale che le varie nazioni europee si accingono a commemorare; fra queste, almeno sulla carta, c’è l’Italia. Molti potrebbero obiettare che per l’Italia non dovrebbe essere il 2014 l’anno dell’inizio delle commemorazioni, ma il 2015. Vero, se le commemorazioni riguardassero solo i combattimenti, le vittorie, le disfatte, vicende che sono ormai abbondantemente indagate negli aspetti generali e a volte nel particolare. Per l’Italia, tuttavia, l’anno 1914 fu importante sotto un altro aspetto: le vicissitudini di quei cittadini, oggi italiani, che nel 1914 erano sudditi dell’Impero austro-ungarico.

    I trentini, gli alto-atesini e i giuliani si trovarono, il mattino del 1° agosto 1914 a vestire la divisa imperiale, inviati a combattere contro i russi sui campi della Galizia e sui monti Carpazi. La stima ritenuta più precisa parla di 55mila uomini: una parte cadde sui campi di battaglia, altri risultarono dispersi e altri ancora (si parla di 6mila uomini) furono fatti prigionieri dai russi e dovettero subire una doppia onta: come nemici dai russi e, come traditori, dai prigionieri delle altre nazionalità dell’esercito austro-ungarico. Questo come premessa a ciò che il centenario dovrebbe raccontare: la storia di circa 20/25mila “avversari” oggi italiani (la stima è per difetto), che vestirono la divisa austroungarica dal 1914 al 1918 con diversi sentimenti contrastanti tra loro: rassegnazione, dignità, fede e onore. La storia degli irredenti trentini e giuliani, circa 700, che scelsero di entrare in Italia e vestire la divisa grigioverde; la storia dei 6 mila prigionieri dei russi, delle loro vicissitudini che li portarono poi fino in Cina e da là alle Hawaii, per poi arrivare a Genova attraversando tutti gli Stati Uniti d’America, è “piuttosto” nota, anche se molto affascinante e certamente meritevole di essere più ampiamente divulgata. Altri fatti che direttamente interessano gli alpini e la nostra Associazione sarebbero da approfondire e divulgare, perché noti solo a chi si occupa di storia trentina e giuliano-dalmata.

    La storia di quei 20/25mila uomini che fino alla fine indossarono la divisa “sbagliata”, è ancora lacunosa e meriterebbe, invece, spazio e riflessione. Gran parte delle testimonanze relative a queste persone sono state nascoste e la loro pubbilcazione addirittura osteggiata dal regime fascista. I musei del Risorgimento di Trento e di Trieste hanno nei propri archivi molti di questi documenti. La consultazione di queste fonti consentirebbe di capire non solo le storie di questi soldati, ma molto anche degli attuali abitanti del Trentino-Alto Adige e di Trieste. Ecco cosa vuol dire “celebrare” un centenario, partendo appunto da una curiosità come un umile giornaletto stampato in Russia da trentini e giuliani: un’occasione per riflettere e indagare con luce nuova! Le Sezioni e i Gruppi alpini legati a queste persone e a questi fatti potrebbero trovare ora gli spunti giusti per condurre le loro micro ricerche sul territorio, unendo così tanti piccoli tasselli per una rilettura della Storia degna del centenario!

    Andrea Bianchi

    Per saperne di più e leggere un’indagine seria e storicamente corretta, si consiglia il libro di Q. Antonelli, I dimenticati della Grande Guerra. La memoria dei combattenti trentini 1914-1920, Edizioni Il Margine, TN, 2008. Altro libro consigliato è: P. Dogliani, G. Pecout, A. Quercioli, La Scelta della Patria, Museo Storico Italiano della Guerra Ed., 2008, Rovereto.