L'alba della Resistenza: quei 300 eroi della Guardie di frontiera, a Tarvisio

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    Rifiutarono di consegnare le armi e resistettero per tutta la notte agli attacchi di un reggimento di SS 205 fra morti e feriti Fra i Caduti anche la telefonista ventenne.

    In occasione dell’8 settembre il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, commentando quel tragico evento del 1943, ha indicato alla Nazione una… nuova chiave di lettura dei fatti. Non più giorno nefasto, sinonimo di disfatta materiale e morale, ma quello che ha segnato l’inizio della Resistenza, della riscossa e riscatto nazionale, le cui prime tappe furono i combattimenti di Porta San Paolo a Roma (10 settembre), Cefalonia nello Jonio con il sacrificio della divisione Acqui (11 settembre) e avanti fino alla presa di Montelungo (16 dicembre), prima azione del ricostituito Esercito italiano. Tutto vero ma inesatto.

    La Resistenza cominciò fin dalla notte tra l’8 e il 9 di settembre, in Friuli, a Tarvisio, Termopili d’ltalia, alla caserma Italia dove le ‘Guardie alla Frontiera ‘ (GaF), 300 uomini male armati e abbandonati a se stessi, tennero testa per sei ore ai tedeschi, sostenendo un duro attacco condotto da un reggimento di ‘Waffen SS’. Unico, minuscolo intoppo nel meccanismo dell’ Operazione Alarico di Rommel, quegli uomini si batterono non per riscattare alcunché, ma per fedeltà al giuramento prestato e senso del dovere.

    A Tarvisio la GaF era a regime ridotto: il confine era quello con l’alleato e la caserma Italia, che domina la strettoia della valle tra il paese e il valico del Coccau, aveva ceduto la sua artiglieria pesante per la campagna di Jugoslavia; 300 uomini, armati di fucile e con un paio di mitragliatrici, costituivano la forza, pressoché simbolica, di presidio. L’8 settembre, alle 7 di sera, la notizia dell’armistizio trasmessa dalla radio piombò nel Circolo Ufficiali della caserma come un fulmine a ciel sereno, suscitando in molti perplessità e sconcerto.

    Chi invece capì tutto e subito fu il ten. col. Giovanni Jon, alpino piemontese, il comandante della GaF di Tarvisio. Lì anglo americani non ce n’erano, ma tedeschi sì, e molti: in Val Canale dove, fin dal 25 luglio stazionava un reggimento di ‘Waffen SS’ e nella piana di Arnoldstein, subito al di là del confine, da tempo sostavano intere brigate in assetto di combattimento pronte a muovere.

    Il col. Jon ordinò tosto di suonare l’allarme e far rientrare tutti i soldati e, riuniti sul piazzale della caserma, spiegò loro il proclama di Badoglio e concluse dicendo: ‘…Ragazzi, per noi la guerra comincia adesso e, se i tedeschi verranno all’attacco noi risponderemo alle loro armi con coraggio e decisione. Siamo le guardie alla frontiera le sentinelle avanzate della Patria e faremo il nostro dovere . Nessuno obiettò.

    Impartiti gli ordini per la difesa della caserma, si attaccò al telefono per avere disposizioni dai comandi competenti (la linea telefonica della caserma passava per quella pubblica, collegata al centralino accanto al municipio di Tarvisio) ma gli ufficiali in grado di prendere decisioni erano tutti altrove. Quindi, alle 22, il comandante della GaF uscì in ispezione per rendersi personalmente conto della situazione, incontrò pattuglie tedesche, gran traffico di motociclisti e posti di blocco. Urgevano rinforzi.

    Rientrato in caserma, tentò di contattare, a Udine, il comandante del XXIV Corpo d’Armata, gen. Zannini, che era andato a dormire con l’ordine di non essere disturbato. Il suo capo di S.M., col. Corniani, promise, senza garantire nulla, di occuparsi della cosa. Jon, allora, provò a sondare il comandante delle ‘Waffen SS’ della Val Canale, col. Brand: nessuna iniziativa senza il suo benestare, fu la risposta . A mezzanotte passata, nella caserma Italia tutti erano in vigile attesa: i 300 uomini sistemati a difesa e il comandante Jon con i suoi ufficiali presso il telefono aspettavano ordini.

    Al centralino di Tarvisio, alla cui difesa era stato assegnato il plotone antiparacadutisti aggregato alla GaF una ragazza di vent’anni, Luigia Picech, vegliava per garantire quello che ormai era l’unico collegamento tra i soldati di Jon e un’Italia in sfacelo. Poco dopo le 2 giunse, per telefono, l’ultimatum del col. Brand: un’ora di tempo per consegnare le armi. L’ultimatum fu respinto. Allo scadere del tempo, alle 3 del 9 settembre, giunse all’ingresso un side car con un ufficiale tedesco, era l’ultima intimazione: resa immediata! La risposta fu sempre no! ‘Posto di combattimento!’, ordinò il colonnello, il side car non fece in tempo ad allontanarsi che un razzo illuminò la valle e si scatenò l’inferno.

    Il primo a morire fu la sentinella della garitta che aveva appena fatto il saluto regolamentare al tedesco, rispose la mitragliatrice italiana del Corpo di guardia (falciando motociclista e SS) e un nutrito fuoco di fucileria dalle postazioni della caserma. Ma le SS erano bene appostate e, dalle alture circostanti, con le mitragliere da 20 pollici a 4 canne spazzavano la caserma Italia. Il ten.col. Jon riuscì a ricontattare il comando del XXIV Corpo, a Udine, ‘Ci stanno attaccando!’, ma il gen. Zannini stava sempre dormendo.

    Rispose il solito col. Soriani. ‘Ma arrivano, almeno, gli alpini?’. Gli promisero, vagamente, l’8º reggimento e nell’attesa: resistere… Nel frattempo, in piazza a Tarvisio, i tedeschi assaltavano il centralino difeso da un plotone di fucilieri. Lo scontro era impari, le pallottole grandinavano da ogni parte, sbrecciando muri e frantumando vetri, ma la centralinista Luigia Picech, come se nulla fosse , continuava a tener aperta la linea con la caserma.

    I tedeschi portarono in linea un pezzo anticarro e, con un colpo, demolirono una parete del locale. Il polverone copriva alla vista dei difensori gli assaltatori che serravano sotto. Attraverso lo squarcio le pallottole fischiavano e la Luigia, china sopra il pannello coperto di calcinacci, ferita ad una mano ed alla testa con una scheggia di mortaio nel piede, continuava ad infilare le spine. Gli ‘antiparà’, stretti sempre più da vicino, contrattaccarono con una sortita disperata: furono tutti abbattuti. La Luigia cercò ancora di afferrare la pistola di un soldato mortole accanto, ma le SS la finirono.

    Sarà la prima donna della resistenza a ricevera la medaglia d’Argento al Valor Militare. Nella caserma Italia, rimasta isolata, si continuò a combattere tra morti e feriti, fino all’ultima cartuccia. Dopo le 9, la battaglia durava ormai da sei ore, le munizioni erano esaurite, dei soccorsi promessi nessuna traccia, una parte della caserma era stata espugnata ed alcuni edifici stavano bruciando. I difensori di Tarvisio erano esausti, molti i feriti (comandante compreso); il coraggio non bastava più. ‘Cessate il fuoco!’, ordinò il ten. col. Giovanni Jon ed un drappo bianco venne innalzato. Il primo fuoco della Resistenza italiana era stato spento nel sangue di 180 feriti e 25 morti, i primi Caduti della nuova Italia. Almeno 80 i tedeschi rimasti uccisi. I GaF superstiti, 95, partirono due giorni dopo in carro bestiame per i campi di concentramento della Germania.

    Certo, questi fatti, lontani dal nostro quotidiano quanto le guerre puniche, non interessano più nessuno e nulla cambia per noi sapere quando, dove e da chi fu compiuto il primo atto di Resistenza. È però, un dovuto atto di riconoscimento a questi eroi che l’Italia dell’8 settembre’ abbandonò come foglie al vento e quella del ’25 aprile’, che deve a loro la propria legittimazione, ignora completamente.

    Compresa quella ragazza di vent’anni, Luigia Picech la centralinista, che, pur libera da qualsiasi giuramento di fedeltà, rimase al suo ‘posto di combattimento’, fino all’estremo sacrificio. Al passo del Termopili, sull’antica pietra, ancora oggi si leggono queste parole: ‘O viandante, va a dire a Sparta c
    he noi siamo qui caduti per obbedire alle sue leggi’. Furono incise per onorare e tramandare la memoria dei 300 spartani che tennero il passo tre giorni, fronteggiando l’armata persiana. Morirono tutti sul posto senza indietreggiare di un passo, permettendo all’esercito ellenico di ritirarsi. 2.486 anni or sono. Non dico tanto, ma, almeno, un grazie lo dobbiamo ai ‘300 di Tarvisio .

    Lucio Vadori

    BIBLIOGRAFIA Edoardo Pittalis: L’ultima guerra; Mario Candotti: Ricordi di un uomo in divisa; Storia illustrata: Dizionario delle battaglie.


    Fin qui la storia di quelle eroiche Guardie alla frontiera e del loro comandante. Oggi la caserma Italia è sede di un soggiorno alpino dell’Esercito, ma ogni anno, la prima domenica di settembre, a quei protagonisti della primavera della nostra Repubblica vengono resi gli onori. È avvenuto anche quest’anno, con gli alpini in primo piano accorsi numerosi, come sempre.

    Dobbiamo al nostro precedente capo dello Stato Ciampi il recupero della memoria del sacrificio di tanti reparti militari che dopo l’8 settembre ’43, dimenticati da tutti, abbandonati, senza ordini, in una situazione drammaticamente confusa, seppero fare appello al loro senso dell’onore e si comportarono da soldati. A loro dobbiamo eterna gratitudine.